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La vita dopo l'ictus: Federico

Una sedia in una sala d’aspetto. Ecco cosa mi ricordo del momento in cui, durante l’ecografia dell’ottavo mese, il medico ci disse che “qualcosa non andava”. Mi ricordo le gambe che tramavano e quella sedia, dove non riuscivo a stare seduta, in attesa che il medico scrivesse il referto e ci chiamasse di nuovo nello studio. 

Dopo la prima diagnosi, si sono succedute tante altre sedie in altre sale d’aspetto. Prima, durante le ultime settimane di gravidanza, poi dopo la nascita di Federico. 

Quelle ultime settimane di gravidanza mi sono pesate come un macigno sullo stomaco, perché il mio bimbo era stato male nella mia pancia, perché io, sua mamma, non ero stata in grado di proteggerlo. E ora cosa sarebbe successo? Quali problemi avrebbe avuto il nostro bimbo? La paura si mescolava alla voglia di conoscerlo, da una parte avrei voluto tenerlo sempre dentro di me, per evitare di sapere, per evitare di farlo crescere con qualche problema, ma dall’altro avrei voluto stringerlo a me e chiedergli scusa….

Il parto è stato un vero incubo: un tentativo di parto naturale ma molto, troppo, medicalizzato, con troppi fili che monitoravano lui e me, troppi medici che entravano ed uscivano dalla sala, troppo dolore. Ad un certo punto, Federico girò la testa e non sembrava più intenzionato ad uscire. Forse anche lui ne aveva abbastanza di tutto quello. Non si poteva rischiare che avesse altre sofferenze durante il parto, quindi il ginecologo decise di fare un cesareo d’urgenza.

Dopo la nascita, mi fecero vedere Federico per pochi attimi, prima di ricoverarlo in terapia intensiva per verificare quali danni aveva lasciato lo stroke. Io riuscii a vederlo solo 24 ore dopo, 24 ore di sofferenza per il taglio cesareo e per la mancanza del mio piccolo cucciolo da stringere. Ma c’era il papà con lui, in tutti i momenti in cui gli orari di visita lo consentivano. Quando sono riuscita a tenerlo in braccio ho pianto di felicità. Per un attimo ho smesso di pensare a “cosa sarebbe stato”. Dopo tre lunghissimi giorni, finalmente Federico è potuto venire in stanza con me, ma le visite dei medici e le varie analisi che doveva fare lo tenevano comunque lontano da me per troppo tempo. E quando era con me piangeva, piangeva tanto. E io non sapevo come fare. Come gestire l’ansia, la paura di essere mamma per la prima volta e il terrore di non sapere che bimbo sarebbe stato, che problemi avrebbe avuto. E se il suo pianto nascondeva una sofferenza che io non capivo? 

Quando finalmente siamo tornati a casa, Federico continuava a piangere. E io con lui. Per fortuna c’erano le visite di controllo, che ci rassicuravano perché lui cresceva bene. E poi c’è stata la risonanza magnetica, fatta a due mesi, che ha permesso ai medici di capire che problemi avrebbe avuto in futuro. Ci hanno spiegato che la zona del cervello colpita dallo stroke aveva causato una emiplegia dal lato sinistro, ossia avrebbe avuto problemi nel movimento della zona sinistra del corpo. E poi forse epilessia, problemi nel linguaggio, problemi nella vista, problemi cognitivi e di attenzione.

La neurologa era sollevata dal referto della risonanza magnetica, noi invece eravamo confusi e impauriti. Ma ci siamo affidati alla sua esperienza e abbiamo fatto tutto ciò che ci consigliava. 

E così abbiamo iniziato a fargli fare fisioterapia, due volte a settimana, a 20 minuti di autostrada da casa. A tre mesi e mezzo abbiamo intrapreso un cammino di fisioterapia che va avanti ancora adesso, a 4 anni, cambiando tre terapiste per colpa dell'organizzazione complicata dell'ASL. 

Essere genitore di un bambino che va seguito in ogni gesto è impegnativo, fisicamente e soprattutto mentalmente. Un po' in ritardo ma ho capito che avevo bisogno di una valvola di sfogo anche io, e quindi ho iniziato un percorso da una psicologa, sospeso per mancanza di tempo, ma che dovrei riprendere a breve, perché davvero importante. E ho ricominciato a lavorare, con meno entusiasmo di prima, zero possibilità di carriera, un po' di mobbing... ma a me interessa solo uscire di casa, pensare ad altro per qualche ora, parlare di frivolezze alla macchinetta del caffè e tornare a casa più carica. Gestire tutto è davvero complicato, ma la mamma ed il papà di un bimbo sopravvissuto ad un ictus acquisiscono qualche super potere in più. Il primo è rimettere in ordine le priorità nella vita. E godere di ogni singolo momento, persino di quelle mattinate insieme per andare e tornare da fisioterapia, che i bambini 'sani' non possono avere, perché a quell'ora loro sono già a scuola. 

Anche se Federico ormai ci dà fiducia, perché sappiamo che con la giusta dose di volontà e insegnamento lo aiuteremo a trovare la sua strada verso l'autonomia, continuiamo a pensare cosa è meglio per lui, e la nostra vita è cambiata, noi siamo cambiati. Sappiamo che come famiglia ci può investire un uragano, ma ci avvolgiamo in un abbraccio e sopravviviamo. 

Alessandra