L’impatto generato dalla Fondazione Fightthestroke nell’ultimo decennio: cosa non c’era, cosa c’è, cosa manca ancora nella Paralisi Cerebrale.
Negli ultimi dieci anni (circa 2015-2025) in cui la Fondazione Fightthestroke ha operato in questo ambito, la paralisi cerebrale — una condizione neurologica non progressiva ma con impatti principalmente motori duraturi — ha visto cambiamenti significativi a livello globale: trattandosi di una condizione di disabilità permanente, non è corretto dire che sia stata “curata” né tantomeno è stata individuata una singola terapia in grado di prevenirla, ma il modo in cui oggi viene affrontata è cambiato radicalmente.
Questi gli ambiti che sono stati maggiormente impattati dal lavoro sinergico tra clinici, ricercatori, comunità educante, aziende, istituzioni e persone con esperienza di vita vissuta:
Diagnosi molto più precoce: se quando siamo atterrati noi su questo pianeta la diagnosi di Paralisi Cerebrale alla nascita era un’eccezione, negli ultimi anni si possono identificare segnali affidabili per la prognosi già intorno ai 3-6 mesi di età corretta, mentre prima la diagnosi avveniva tra 12 e 36 mesi. Questo permette di iniziare interventi molto prima, sfruttando meglio la plasticità cerebrale nei primi mesi di vita. Tecniche standardizzate di valutazione neuromotoria (come l’analisi dei General Movements) e neuroimaging (come l’ecografia transfontanellare somministrata nelle terapie intensive neonatali e la risonanza magnetica) hanno migliorato sensibilità e specificità diagnostica. (Per approfondimenti: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/40550230/).
Comprensione delle cause in evoluzione: la ricerca scientifica negli anni ha ampliato la comprensione delle molteplici cause che determinano questa disabilità: oltre ai fattori perinatali classici (ipossia, prematurità), si riconosce oggi che una quota significativa dei casi ha contributi genetici. Questo cambia il modo di pensare alla paralisi cerebrale e apre la strada a possibili strategie future di prevenzione e diagnosi predittiva. Un esempio è il laboratorio di Genetica Molecolare promosso dal Centro Stroke Gaslini, che grazie alle moderne tecniche di Next Generation Sequencing si occupa di diagnosi genetica nell’ictus pediatrico su ampia scala, studiando così una delle principali cause di Paralisi Cerebrale nel bambino.
Approccio multidisciplinare e raccomandazioni cliniche: società scientifiche (come SINPIA e SIMFER in Italia, in collaborazione con la Fondazione Fightthestroke) hanno pubblicato nuove raccomandazioni per la riabilitazione che sottolineano l’importanza di un approccio personalizzato e multidisciplinare, integrando neurologia, fisioterapia, terapia occupazionale e supporto psicologico fin dall’infanzia. (Per approfondimenti: https://www.fightthestroke.org/paralisi-cerebrale-infantile).
Tecnologie riabilitative avanzate: negli ultimi anni sono emerse tecnologie e approcci all'avanguardia, sebbene molte siano in fase di studio e derivate dal trattamento di altre condizioni neurologiche, spesso sviluppate per gli adulti; tecnologie come la stimolazione spinale durante la fisioterapia hanno mostrato miglioramenti motori significativi in alcuni studi preliminari; sistemi avanzati di assistenza alla deambulazione, tra cui gli esoscheletri robotici, stanno diventando più accessibili e possono supportare l'apprendimento del cammino in persone con difficoltà motorie. (Per approfondimenti: https://www.fightthestroke.org/blogita/fit4medrobmarch25).
Ricerca su biotecnologie e interventi innovativi: la ricerca su cellule staminali, nanomedicina e potenziali terapie rigenerative è in pieno sviluppo; nonostante queste strategie non siano ancora degli standard clinici, ci sono molti studi in corso per comprendere benefici, sicurezza e applicabilità nella pratica futura. (Per approfondimenti: https://www.fightthestroke.org/blogita/cellule-staminali-june24).
Cambiamento di paradigma, maggiore attenzione alla qualità di vita e inclusione sociale: oltre agli aspetti clinici, c'è un’evoluzione culturale nel modo in cui la paralisi cerebrale viene affrontata, si guarda non solo agli aspetti motori, ma anche a partecipazione sociale, autonomia, istruzione e qualità di vita delle persone con paralisi cerebrale durante l'infanzia, l'adolescenza e l'età adulta. Si riconosce sempre più l'importanza di interventi precoci e continui che coinvolgano la famiglia e la comunità. (Per approfondimenti sul cambio di paradigma operato dalla Fondazione Fightthestroke: https://globalizer.ashoka.org/casestudies/francesca-fedeli).
Riduzione della prevalenza nei paesi ad alto reddito: in alcuni paesi ad alto reddito e dotati di registri nazionali con dati epidemiologici affidabili, come l’Australia ad esempio, la prevalenza di paralisi cerebrale è parzialmente diminuita negli ultimi anni, grazie a migliori cure durante la gravidanza, il parto, e all’assistenza neonatale. (Per approfondimenti: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/40550230/).
Anche in Italia, negli ultimi 10 anni, la paralisi cerebrale è passata da una gestione frammentata e standardizzata a un modello con diagnosi più precoce, multidisciplinare e orientato alla vita reale, anche se con forti differenze territoriali. Tra i progetti che vanno in questa direzione: le nuove Care Pathways italiane, il progetto all’avanguardia AINCP coordinato dall’Italia, un timido tentativo di rete che rappresenta la risposta italiana alla necessità di dati epidemiologici affidabili e di cooperazione tra centri clinici e di ricerca.
In Italia non esiste ancora un Registro Nazionale ufficiale della paralisi cerebrale, e per questo le stime si basano su studi regionali e su confronti europei. Una stima condivisa dalla comunità scientifica ci dice che ci sono 2–3 bambini con Paralisi Cerebrale ogni 1.000 nati vivi, circa 1 su 500–600 persone nella popolazione generale: negli ultimi anni si stima che non ci sia stato un aumento complessivo; nei contesti più avanzati la prevalenza potrebbe essere lievemente diminuita ma la complessità clinica media è aumentata (maggiore sopravvivenza di nati molto pretermine).
Il miglioramento delle cure nella terapia intensiva neonatale ha fatto si che oggi sopravvivano anche bambini nati <28 settimane e con peso <1000g, dando origine quindi a quadri di paralisi cerebrale più complessi (per disturbi motori, di comunicazione, cognitivi e con comorbidità di epilessia).
Dieci anni fa in Italia la diagnosi avveniva spesso dopo i 18–24 mesi, mentre oggi nei centri strutturati questa soglia si è abbassata ai 6–12 mesi, in alcuni casi evidenziando i fattori predisponenti fin dall’ultimo trimestre di gravidanza: questa nuova competenza ha permesso ai centri clinici italiani di allinearsi agli standard europei.
Per quanto riguarda l’accesso alla riabilitazione, ci si può basare solo su dati qualitativi: certamente oggi la presa in carico è più precoce e c’è più continuità di follow up nei primi anni di vita; non è migliorata invece l’intensità dei trattamenti, che sappiamo essere fattore cruciale per un migliore outcome in età adulta; sono rimaste inoltre disuguaglianze regionali enormi e un carico indiretto sulle famiglie (logistica, costi per terapie private, mancati ricavi da perdita lavoro del caregiver principale). Questa frammentazione ed estensività dei trattamenti genera anche un’esternalità negativa, nel ricorso sempre più frequente delle famiglie a terapie private all’estero, spesso basate su trattamenti senza alcuna validazione scientifica e a volte rimborsati da un sistema sanitario non sempre in grado di filtrare correttamente il ricorso alle cure fuori regione.
Per quanto riguarda la scuola, può essere fuorviante guardare solo i dati, che non raccontano la qualità del servizio erogato: l’Italia ha una delle più alte percentuali di inclusione scolastica in Europa (quasi il 100% dei bambini con PC è in una scuola ordinaria) ma questi numeri non misurano il livello di partecipazione, inclusione, apprendimento, benessere dello studente e della famiglia; mancano infatti gli indicatori di qualità del sostegno: gli effetti di questa inefficienza sono visibili indirettamente andando a misurare i casi di discriminazione, abilismo, bullismo, violenza in età scolare, le basse percentuali di istruzione terziaria e di occupazione lavorativa delle persone con Paralisi Cerebrale.
Anche gli adulti con paralisi cerebrale sembrano essere invisibili nei dati: pochissimi sono gli studi italiani sugli adulti con PC e non c’è alcuna stima precisa su occupazione, autonomia abitativa, salute secondaria, condizioni di povertà; in paesi come Svezia, UK, Olanda esistono invece protocolli specifici per la transizione scuola-lavoro, per la salute e i servizi sociali. I progetti europei #Vote4All e #Voice4All, sviluppati in alleanza tra la Fondazione Fightthestroke e le associazioni di riferimento europee e internazionali CP-ECA e ICPS, hanno l’obiettivo di colmare questi gap.
(Per approfondimenti sui dati generali sulle persone con disabilità in Italia e in Europa: https://www.fightthestroke.org/blogita/disableddataeu).
In sintesi, oggi sappiamo di più sui bambini piccoli rispetto a 10 anni fa, ma molto meno sugli adolescenti e quasi nulla sugli adulti con Paralisi Cerebrale.
Se in Italia tra il 2015 e il 2025 sono stai fatti molti passi in avanti sulla diagnosi precoce e l’approccio multidisciplinare, la sfida principale per il prossimo decennio sarà ridurre le disuguaglianze territoriali, creare un registro nazionale, implementare percorsi standardizzati per la transizione all’età adulta, mantenere il focus sulle FAMIGLIE che devono essere educate a discriminare i trattamenti con validità scientifica per poter completare il percorso dal ruolo passivo di “esecutori di terapie” a partner attivi nel progetto di vita del bambino/adulto con Paralisi Cerebrale.
Milano, 28 Dicembre 2025
