DisabledData

Gaming for All, a spazio Lenovo il game inclusivo

I videogiochi, se resi accessibili, possono rappresentare una risorsa di apprendimento, benessere, autorealizzazione e partecipazione, anche per le persone con disabilità. Questo il messaggio di Gaming for All, andato in scena presso lo spazio Lenovo di Milano

Secondo i dati più recenti, in Italia più del 79% delle persone con disabilità dichiara di non svolgere attività significative di partecipazione sociale e si dice poco o per niente soddisfatto della qualità del tempo libero. Ecco perché è sempre più necessario rendere il videogioco inclusivo.

Microsoft: Accessibilità e Generative AI - Dati sulla disabilità con FightTheStroke e ISTAT

Francesca Fedeli, Founder FightTheStroke e Alessandra Battisti, Dipartimento per la produzione statistica – Istat. 17 Gennaio 2024

Il Sole 24 Ore: La mancanza di fondi pesa sulle persone con disabilità

Una legge delega in attesa dei decreti attuativi e un tavolo tecnico per l’analisi e la definizione di elementi utili per una legge sui caregiver familiari. Sono queste le due iniziative in atto in tema di persone con disabilità, che tornano all’ordine del giorno il 3 dicembre, in occasione della giornata internazionale per le persone con disabilità.

Nel primo caso si tratta della legge delega 22 dicembre 2021, n. 227, che è stata approvata nell’ambito della Missione 5 del Pnrr, che prevede esplicitamente la Riforma 1 denominata “Legge quadro sulle disabilità”. Il Governo dovrà adottare, entro il 15 marzo 2024, i decreti legislativi per la revisione e il riordino delle disposizioni in materia di disabilità per garantire il riconoscimento della propria condizione, anche attraverso una valutazione congruente, trasparente e agevole che consenta l’esercizion dei diritti civili e sociali, compresi il diritto alla vita indipendente e alla piena inclusione sociale e lavorativa, nonché l’effettivo e pieno accesso al sistema dei servizi, delle prestazioni, dei trasferimenti finanziari previsti e di ogni altra relativa agevolazione. Inoltre di promuovere l’autonomia della persona con disabilità e il suo vivere su base di pari opportunità, nel rispetto dei principi di autodeterminazione e di non discriminazione.

L’iniziativa del tavolo tecnico prevede invece che sia affrontato il tema dei caregiver , familiari che si occupano, spesso a tempo pieno, delle persone con disabilità e che per questo lasciano anche il lavoro. In prevalenza si tratta di donne (74%) e di una età compresa fra i 46 e i 60 anni (38%), mentre il 31% ha meno di 45 anni. Le caregiver senza stipendio prima e senza una copertura previdenziale poi, rischiano di dipendere economicamente dal marito o dal compagno e sono destinate ad entrare nel circuito assistenziale. Da anni ci si attende novità in questo ambito. A tutela dei caregiver vi è solo la legge 104 che risale al 1992 che concede 3 giorni di permesso al mese, il congedo straordinario fino a 2 anni per i casi più gravi e comprende la pensione anticipata.

Il nodo dei dati

Parte dal monitoraggio dei dati (e che siano certi) il percorso per costruire una società in grado di assicurare una parità di opportunità e di uguaglianza per le persone con disabilità. Proprio per questo diventa fondamentale il monitoraggio periodico dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, istituito dalla legge 3 marzo 2009, n. 18, con funzioni consultive e di supporto tecnico-scientifico per l’elaborazione delle politiche nazionali in materia di disabilità.

Dell’Osservatorio fa parte anche l’Istat sin dalla sua costituzione, rappresentata dal dirigente di ricerca Alessandro Solipaca, che il prossimo 6 dicembre presenterà una nuova relazione: «Le attività dell’Osservatorio nazionale sulle persone con disabilità sono finalizzate ad affrontare le tematiche centrali nel processo di inclusione delle persone con disabilità: accessibilità universale; progetto di vita; istruzione, università e formazione; lavoro; benessere e salute. Si tratta delle principali condizioni abilitanti per una vita autonoma e inclusiva, che costituisce l’impegno che il nostro Paese ha assunto sottoscrivendo la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità».

Confindustria: I DATI PER CONOSCERE LA DISABILITÀ

Senza dati accurati è impossibile conoscere e conseguentemente intervenire sul mondo della disabilità. Francesca Fedeli, presidente della Fondazione Fight The Stroke, ci presenta il progetto che ha portato avanti: Disabled Data o Dati Disabilitati. Una piattaforma partecipata, che ha messo insieme diversi attori e ha indagato sette aree di interesse prioritario, dall’accesso all’istruzione alla fruizione del tempo libero, dall’occupazione all’accesso ai sussidi. È stata promossa dalla Fondazione e progettata da Sheldon Studio con la collaborazione di OnData con l’obiettivo di rendere accessibili e immediati a un pubblico più ampio i dati sulla disabilità nel nostro Paese. Una prima mappatura per agevolarne la lettura, l’analisi critica e la messa a disposizione per l’adozione di politiche efficaci.

Conosciamo meglio la Fondazione: come nasce e con quali obiettivi?Fight The Stroke nasce nel 2014 sulla base di un’esigenza personale come spesso accade nel terzo settore: la diagnosi di nostro figlio Mario, nato nel 2011, con un ictus perinatale e quindi una prospettiva di disabilità di permanente di paralisi cerebrale infantile. L’obiettivo della Fondazione è quello di supportare la causa dei giovani sopravvissuti all’ictus e delle famiglie dei bambini con paralisi cerebrale infantile che devono reinventarsi e confrontarsi ogni giorno con la burocrazia per ottenere i diritti riconosciuti. La Fondazione vuole educare alla consapevolezza che i bambini, anche quelli non ancora nati, possono essere colpiti da lesioni cerebrali fortemente invalidanti e il cui futuro non dovrebbe essere già scritto, ispirando le nuove generazioni a favorire la ricerca e l’adozione di terapie innovative validate dalla scienza”.

Perché l’esigenza di ripartire dai numeri? “Per fare chiarezza. Per contarci, per sapere quante persone con disabilità ci sono in Italia, navigando sul web ci abbiamo impiegato, nel cosiddetto user journey, 80 click con l’annessa apertura di circa 20 tabelle. Aggregando i dati da diverse fonti, fra cui quelle di Istat e Eurostat, ci siamo resi conto che nel nostro Paese i numeri delle persone con disabilità sono sottostimati, è come se l’accesso ai dati per noi e su di noi fosse disabilitato.

L’ultima rilevazione ISTAT del 2019 ci dice che in Italia ci sono 3.150.000 persone con disabilità ma questo dato, che corrisponde a circa un 5% della popolazione, è il risultato di un’indagine campionaria che rileva risposte autodichiarate e non tiene conto, ad esempio, di altre fonti informative, come i dati provenienti dalle certificazioni INPS. Un limite che potrebbe essere superato dal “Registro delle disabilità”, progetto di cui si parla dal 2020 ma non ancora reso disponibile.

La percentuale italiana del 5% sembra inoltre essere sottostimata e in controtendenza rispetto alle percentuali globali, che definiscono la più grande minoranza marginalizzata delle persone con disabilità pari al 15% della popolazione mondiale.

Conoscere questi dati non è solo un interesse speculativo, vuol dire essere partecipi anche del processo di assegnazione delle risorse pubbliche, poter verificare l’adeguata realizzazione delle politiche che ci riguardano, incluse quelle del welfare”.

Quale fra i dati raccolti è per lei più significativo? “Il tema relativo all’istruzione e alla scuola è uno di quelli su cui desidero portare l’attenzione. In termini di partecipazione scolastica, gli alunni con disabilità sono in crescita, ma il numero di insegnanti di sostegno per alunni varia considerevolmente tra le regioni italiane, e in termini di barriere architettoniche solamente una scuola su tre risulta accessibile per i bambini e ragazzi con disabilità motoria, anche qui con forti variazioni regionali. Ma non solo, per i nostri ragazzi è come se mancasse la reale possibilità di scegliere come costruire in autonomia il proprio percorso di vita. Un chiaro indicatore è il calo della partecipazione scolastica nell’istruzione secondaria, per lo più relegata a percorsi tecnici e, soprattutto, il calo ancora più drastico per l’istruzione terziaria in cui l’Italia è uno dei fanalini di coda d’Europa. I nostri ragazzi con disabilità difficilmente fanno viaggi studio all’estero, studi al conservatorio o hanno accesso ad università prestigiose: quello che normalmente ci auguriamo per ogni figlio, nel caso dei figli con disabilità sembra essere un percorso precluso in partenza”.

Il tempo libero e le attività sportive come vengono viste? “Quello che colpisce è il mettere in secondo piano tutto ciò che a che fare con il tempo libero, in quanto non viene considerato né una necessità né un diritto, contrariamente a quanto avviene nelle famiglie del Nord Europa. In Italia, in particolare, lo sport viene considerato come intrattenimento e non un bisogno primario capace di coadiuvare con la cura o le terapie che si seguono. Lo sport porta con sé socialità e diversi benefici, come la consapevolezza di sé, l’autostima, la sicurezza ma può diventare anche una professione. Noi come Fondazione investiamo molto sullo sport come abilitatore, sia come alleato nella riabilitazione che nell’avviamento ad attività paralimpiche. Ad esempio con l’iniziativa dei Fight Camp estivi offriamo a bambini dai 6 ai 12 anni, con diversi gradi di deficit motorio e provenienti da tutte le parti del mondo, una settimana intensiva di riabilitazione attraverso lo sport. Nel Fight Camp i nostri ragazzi con Paralisi Cerebrale possono allenare e migliorare le loro abilità motorie, imparando discipline come l’atletica, il taekwondo o l’arrampicata. È un’occasione unica in cui i partecipanti possono vivere una socialità ricreativa e una vita comunitaria con i pari, a cui in genere non partecipano negli altri luoghi di aggregazione. E tutti i bambini hanno degli obiettivi riabilitativi personalizzati, concordati con la famiglia e con i terapisti, e misurati rispetto a indicatori e scale certificate.”

Il progetto AINCP su intelligenza artificiale e paralisi cerebrale infantile, ci racconta il coinvolgimento di Fight The Stroke? “AlNCP è l’acronimo del progetto europeo “Clinical validation of Artificial Intelligence for providing a personalized motor clinical profile assessment and rehabilitation of upper limb in children with unilateral Cerebral Palsy” dall’Unione Europea nell’ambito del Programma Quadro EU Horizon. È un progetto di ricerca che ha l’obiettivo di sviluppare strumenti di supporto alle decisioni cliniche basati sull’evidenza, per la diagnosi funzionale dei bambini con emiparesi, e di telemedicina, per impostare il trattamento riabilitativo personalizzato, grazie all’utilizzo dell’intelligenza artificiale e alla metodica riabilitativa dell’Action Observation Therapy. A condurre la ricerca è l’Università di Pisa, con numerosi partner italiani come l’IRCCS Fondazione Stella Maris di Calambrone, che si occuperà della sperimentazione clinica, la Scuola Superiore Sant’Anna con l’Istituto di Biorobotica per la messa a punto di nuovi dispositivi sensorizzati con tecnologia robotica e l’Istituto di Management per la sostenibilità del progetto nei sistemi sanitari europei, l’Università del Salento che si occuperà degli aspetti etici nell’uso dell’intelligenza artificiale in età evolutiva. Per la prima volta partecipano anche i pazienti e i loro caregivers sin dalla fase progettuale: la Fondazione FightTheStroke con il suo braccio operativo FTS srl, il principale gruppo italiano a supporto dei genitori di bambini con paralisi cerebrale infantile, porterà la voce dei bisogni delle famiglie e co-creerà soluzioni disegnate intorno ai giovani pazienti, così come di rilievo è la presenza nel consorzio di aziende private del settore. Come partner internazionali vi saranno l’Universidad De Castiglia – La Mancha (Spagna) e la Katholieke Univesiteit Leuven (Belgio) che insieme a Stella Maris si occuperanno della parte clinica, prevedendo il coinvolgimento di almeno 200 bambini, e la University of Queensland (Australia) per la messa a punto di algoritmi di intelligenza artificiale da integrare nel modello. È un progetto di cui siamo davvero orgogliosi e che ci permette di dare un nostro contributo concreto all’innovazione in medicina e al miglioramento delle condizioni di vita dei nostri bambini”.

Come ritiene che sia la presa in cura delle persone con disabilità complesse nel nostro Paese? “Per alcuni aspetti nei percorsi di cura e assistenza è come se si fosse perso il collegamento con il territorio e l’attenzione alle peculiarità dei diversi tipi di disabilità e ai contesti familiari. Dovremmo chiederci come possiamo continuare ad offrire lo stesso tipo di servizio a una persona adulta o a un bambino, che nasce in regioni diverse? C’è moltissima mobilità fra le diverse regioni e tra alcuni centri di eccellenza nazionale per questa condizione di disabilità: famiglie che ogni giorno devono sostenere costi e investimento di risorse proprie per effettuare visite di controllo o esami più approfonditi a Genova, Pisa o Milano. Il problema maggiore però è quando una famiglia non si sente seguita o non riesce ad avere la giusta rete territoriale e sceglie, per le difficoltà che incontra, anche economiche, di andare in centri non certificati, finendo nelle mani di alcuni centri esteri che promuovono cure miracolose senza evidenza di prove scientifiche. Per le famiglie con disabilità complesse emergono sempre più discrepanze anche in merito alla richiesta di ausili. Se pensiamo ai bambini con disabilità complesse che sempre più spesso non ricevono gli ausili adeguati o perdono la possibilità di personalizzarli. Si vedono arrivare a casa deambulatori o carrozzine fuori misura, ausili standardizzati che non tengono conto della crescita reale dei bambini, perdendo di fatto la possibilità di aggiornarli ogni sei mesi. La chiave per un cambiamento parte da un sistema di alleanze fra famiglie, associazioni, classe medica e industria, capace di portare una nuova cultura della disabilità”.

Ashoka. The urgent need for integrated and social healthcare in Europe

Community and data at the center of health journeys

The case of Fight The Stroke Foundation

Francesca Fedeli and Roberto D'Angelo are the co- founders of FightTheStroke.org, a foundation that supports the global cause of young stroke survivors and children with a disability of Cerebral Palsy, as their son Mario. Francesca and Roberto never knew strokes could happen to newborns and children. Despite there are 17 millions of people with Cerebral Palsy in the world, they were left alone as parents, helpless and hopeless about who to consult for support and care. In response, Francesca started a closed Facebook group for family and caregivers experiencing similar situations. To her surprise, people poured in to join the group, elated to connect for the first time with those with similar experiences with their own loved ones. From this experience, Fight The Stroke Foundation was created, to advocate for young stroke survivors and their families. For Fight the Stroke, integrated health means building a community that pushes towards new clinical research and policy. From day one of this movement, a sense of community was key to bringing people together in order to tackle the knowledge and care gap for kids who survived strokes. Everyday, 1000 survivors and their caregivers connected over similar experiences, solving problems together when no other resources were accessible for them. Fight The Stroke provided a new model of community-led healthcare

within a safe environment that had never existed before. This was created to be an inclusive environment built through the freedom to express thoughts about health and the desire to combine knowledge through connection and scientific data.

“Fight The Stroke works in the disciplines of disability, developmental medicine and digital health. A challenge in these intersections has been regaining trust in the relationship between the patient and the healthcare provider.”

An important issue of the current healthcare system is the lack of consolidated data on many conditions across Europe. This was the case for measuring the number of people with cerebral palsy in Italy. A bureaucratic problem occurred when the responsibility of providing data was left to each individual town, with only one town providing the information. Without agreeing to a national approach, this presented the false record of only three kids being diagnosed with cerebral palsy in all of Italy. In addition, the latest public available data were related to 2011, furthering the lack of accessibility and usability. Especially when monitoring trends in children, continuous updating of health data is crucial to understand and predict trends. Collecting and maintaining accurate and usable data on Cerebral Palsy as well as on People with Disabilities in Italy and Europe would allow people and patient associations to better frame the phenomenon, opening up new possibilities and perspectives to care for children, to rethink goods and services and to imagine a fairer and more inclusive society. Without a specific cure or treatment from the pharmaceutical field, cerebral palsy is a ‘forgotten disease’.

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Although rehabilitation interventions are available, many of them are not scientifically validated and there is no current push for research because of the lack of data.

Impact Story: Rebuilding relationships between health practitioners and patients

Many patients feel inept at expressing their own health concerns, and the power imbalance between the healthcare provider and the patient creates an environment in which patients feel they are not allowed to ask questions. Proactive communication for treatment must occur on equal levels with mutual understanding and trust. Fight The Stroke approaches this hurdle with different solutions to facilitate communication. One way is through providing health literacy initiatives. When families of stroke survivors want to understand and manage their child’s health, Fight The Stroke Foundation is the first landing place providing reliable resources and guidance on navigating the healthcare system experience. This includes guidance on how to read a scientific paper, explanations of certain drug information, members’ sharing parts of their own data and generally providing validated information meant to assist people in making informed medical decisions. This aims to reestablish the information asymmetry between doctor and patient, between the medical system and people with disabilities: having beneficiaries sitting together at the same decisional table with other stakeholders would allow the whole civil society to find faster and better solution to care about over one billion people, the 15% of the world’s population with a disability. When Fight The Stroke was elected as an Ashoka fellow in 2015, community-led healthcare was not part of the prevailing public discourse. Since then, Fight The Stroke Foundation has become a trailblazer.

Policy impact(s)

Key relevant impacts for policy change and work:

1.

Fight The Stroke conducted extensive research and clinical trials, resulting in various scientific publication to address the gaps in the current healthcare system, as it happened for the inclusively designed services in the digital health system: concrete examples are the first tele-rehab platform Mirrorable and the epilepsy research kit MirrorHR.

Fight The Stroke is a unique stakeholder for policy makers as they hold key insight and reputable information on the intersection of science, health technology and disability: with this aim they launched the Disabled Data platform, to open a window on the data associated with the phenomenon of disability and to support citizens and policy makers in researching and understanding the data currently available.

Fight The Stroke is proving that for patients and individuals to thrive, health practitioners and caregivers holding different expertise need to be connected and learn from one another, recognizing mutual knowledge: they opened up the first Neonatal and Children Stroke Center in Italy in order to ease this process.’

If we are not counted, how do we count?

If we are not counted, how do we count?

People create data. It is human-made, without people data doesn’t exist. At the same time, the opposite — if data exists, people exist — cannot be held true. It would be more correct to say If data exists, some people exist. Let me explain. What if data collection excludes certain categories, such as minorities or more vulnerable people? They simply would not exist, especially in the minds of the policymakers who work with data every day. How can we imagine supportive policies and strategies if specific types of people are not included in the data, and thus remain invisible? This is the question asked by D’Ignazio and Klein in Data Feminism, and by Ottaviani and the Code for Africa team in Mapping Makoko… the very same question we at Sheldon.studio asked ourselves when Fight The Stroke requested our help to look into the Italian data on disability.


ALLEANZA PER L’INFANZIA chiede a governo, parlamento, istituzioni competenti, un’azione incisiva per la piena inclusione dei minorenni con disabilità

Roma, 3 dicembre 2022

I dati sulla prevalenza della disabilità nei minori e il loro livello di inclusione sociale sono ancora troppo lacunosi e le opportunità di inclusione troppo disomogenee e insufficienti. Occorre superare le sfide metodologiche e i vincoli imposti dalla normativa sulla privacy per costituire una base dati affidabile e completa che consenta di monitorare i progressi fatti verso il raggiungimento degli obiettivi stabiliti dall’Agenda 2030, dalla convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità e della Child Guarantee. Alleanza per l’Infanzia vigilerà affinché il Registro sulla Disabilità possa includere queste prospettive e permettere così di orientare i decisori politici verso azioni coerenti con i bisogni evidenziati dai giovani con disabilità e dai loro caregivers.

In occasione della Giornata internazionale sui diritti delle persone con disabilità, Alleanza per l’Infanzia, che ha costituito un Gruppo di lavoro sui diritti dei bambini e dei minorenni con disabilità, al quale partecipano oggi 25 esponenti delle principali Associazioni italiane e istituzioni, docenti universitari, ricercatori ed esperti, denuncia la persistente lacunosità dei dati sull’incidenza, distribuzione, caratteristiche delle disabilità nella popolazione dei minorenni in Italia. Tale lacunosità impedisce sia di programmare efficacemente gli interventi necessari a un piena inclusione di queste persone nei diversi ambiti di vita e crescita, sia di monitorare puntualmente i progressi nel raggiungimento degli obiettivi stabiliti dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, dall’Agenda 2030 e dalla Child Guarantee.

A questo fine chiede che

  • venga data piena attuazione a quanto previsto nel Piano nazionale sulla Child Guarantee in generale e nello specifico per i minorenni con disabilità.

  • Venga data piena attuazione a quanto previsto nel Piano nazionale di azione infanzia e adolescenza, in generale e nello specifico per quanto attiene ai minorenni con disabilità.

  • Ci si impegni a superare le sfide metodologiche e i vincoli imposti dalla normativa sulla privacy nella raccolta dei dati sulle disabilità.

  • Venga istituito un Registro sulla disabilità che consenta di creare una base di campionamento adeguata per la progettazione di indagini statistiche sulla disabilità, finalizzate a ottenere stime di prevalenza omogenee sul territorio nazionale rispetto alla definizione di persona con disabilità proposta dalla Convenzione ONU e a realizzare analisi dell’inclusione sociale delle persone con disabilità.

  • Venga garantito  l’ascolto e la partecipazione dei giovani con disabilità, al fine di “…investire sui meccanismi di partecipazione di bambini e adolescenti, anche attraverso risorse finanziarie dedicate che possano garantirne il funzionamento non solo a livello centrale ma anche nelle realtà locali e marginalizzate, così da assicurare, a tutte e tutti, di avere voce nei processi decisionali”, per dirla con le parole dello Youth Advisory Board, creato nell’ambito della sperimentazione in Italia della Garanzia Infanzia[1].

Tech4Good: Senza dati le persone non esistono. L’inclusione della disabilità parte dai dati (che spesso non conosciamo)

(99+) Senza dati le persone non esistono. L’inclusione della disabilità parte dai dati (che spesso non conosciamo) | LinkedIn

Nicoletta Boldrini

Giornalista indipendente, divulgatrice (tecnologie emergenti) | Autrice, Speaker | Due anime: tecnologica e umanistica | Futurista-Futures Studies Facilitator | Analizzo gli impatti delle tecnologie sui possibili futuri

3 milioni e 150 mila persone, principalmente donne o persone anziane sopra i settantacinque anni, che riportano difficoltà in attività di tipo domestico, dal fare la spesa alla gestione delle risorse economiche.

Sono i dati di ISTAT (al 2019) che inquadrano la situazione della disabilità in Italia e che fotografano quanto l’inclusione delle diversità sia ancora molto molto lontana quando si tratta di disabilità.

Ecco cosa dicono i dati:

Le disuguaglianze tra persone con disabilità e il resto della popolazione si riscontrano nell’utilizzo dei mezzi pubblici urbani (solo 14,4% delle persone con disabilità riesce ad accedere ai mezzi pubblici), nella violenza fisica o sessuale (il 37% delle donne con limitazioni gravi ne viene colpito), nel benessere economico (il reddito annuo equivalente medio comprensivo dei trasferimenti da parte dello Stato è di 17.476 euro, inferiore del 7,8% a quello nazionale), nel lavoro (nel 2019, nelle persone tra i 15 e i 64 anni, risulta occupato solo il 32,2% di coloro che soffrono di limitazioni gravi contro il 59,8% delle persone senza limitazioni).

L’inclusione deve partire dall’abbattere le deprivazioni

Cosa significa davvero deprivazione lo chiarisce bene ISTAT:

l’indicatore che misura la capacità di spesa e si riferisce al fatto di poter riscaldare adeguatamente l’abitazione, di affrontare una spesa imprevista, di consumare un pasto adeguato almeno una volta ogni due giorni, di potersi concedere una settimana di vacanza.

Nel Rapporto annuale 2022 ISTAT immortala molto bene le informazioni che derivano da quell’indicatore:

“un quinto delle famiglie con almeno una persona con disabilità è deprivato; lo è più del 25% tra le famiglie monoreddito e quasi il 30% tra quelle residenti nelle regioni del Mezzogiorno; tutti i valori superano sensibilmente quelli registrati tra le famiglie senza disabilità (12,4 per cento del totale famiglie, 16,6 di quelle monoreddito, 16,8 di quelle residenti nelle Isole e 22,9 per cento nel Sud)”

Nonostante le politiche di welfare abbiano ridotto il rischio di povertà delle famiglie con persone con disabilità - si legge nella nota e nel Rapporto dell’ISTAT - queste non riescono ad annullare le forme estese di deprivazione materiale. I servizi e gli interventi in tema di assistenza socio-assistenziale lasciano ancora un onere di cura importante sulle famiglie e non permettono di colmare lo svantaggio nelle prospettive di lavoro e carriera dei caregiver e delle stesse persone con disabilità.

L’importanza di poter leggere e capire i dati (senza dover essere esperti tecnici)

Per risolvere i problemi – e quello dell’inclusione delle persone con disabilità o limitazioni più o meno gravi, anche temporanee, in questo momento è decisamente un problema – è necessario prima di tutto capirli, comprenderne l’essenza.

Per risolvere serve comprendere, per comprendere serve conoscere.

La più recente definizione di disabilità include tutti coloro che non dispongono di pari opportunità e sono impossibilitati nella vita quotidiana a causa di limiti imposti dal contesto. In parole povere, questo dato include una quantità enorme di persone, che magari temporaneamente si trovano in una condizione di disabilità, in seguito a un incidente, una malattia, all’avanzare dell’età o a un evento qualsiasi che prima o poi rischia di limitarci nella vita che siamo abituati a condurre. Parlare di disabilità è quindi molto complesso, le sfumature sono tantissime.

I dati riportati qui sopra fanno riferimento alle statistiche ed ai rapporti dell’ISTAT. Ma fotografano davvero la situazione del nostro Paese? Tenendo conto di queste ulteriori dimensioni, quante sono davvero le persone con disabilità in Italia?

Comprenderlo diventa complicato. E se non c’è comprensione, non c’è conoscenza (quella che serve per risolvere i problemi).

Pubblicati in formati non accessibili a tutti, a volte nascosti all’interno di report, oppure sparpagliati su più piattaforme o perfino incompleti, i dati diventano “disabilitati”, non potendo esprimere il loro potenziale analitico e informativo, a causa di limiti imposti dal contesto.

Se i dati non esistono,

le persone non esistono.

A raccogliere la sfida c’è Disabled Data, una piattaforma digitale promossa dalla Fondazione FightTheStroke - progettata da Sheldon.studio con il supporto di onData - per aprire i dati sulla disabilità in Italia ad un ampio pubblico affinché il problema possa emergere con più chiarezza e si possa concretamente avviare un’analisi critica attraverso la quale adottare e migliorare politiche efficaci.

Riporto dal comunicato stampa 👇

“Abbiamo lavorato a questo progetto da oltre un anno, con una squadra fluida ma multifunzionale: i rappresentanti dei diritti, i minatori dei dati, i designer inclusivi, i giornalisti investigativi, gli sviluppatori. L’obiettivo è sempre stato quello di dare una risposta collettiva ai bisogni espressi dalla comunità delle persone con disabilità e dai loro alleati, superando le sfide dei pregiudizi, del dialogo mancato, degli interessi personali e delle fonti dati inaccessibili. Stanchi di leggere titoli di giornali banalizzanti o di sentirci dire che quell’informazione non era disponibile in maniera disaggregata perché riguardante ‘la privacy di persone vulnerabili’. Nonostante le barriere incontrate, ci è sembrato comunque doveroso perseguire l’obiettivo di una piattaforma comune, che andasse oltre il singolo corporativismo tipico di questo settore e che attraverso audizioni periodiche disegnasse uno spazio inclusivo e accessibile a tutti, ascoltando la voce di beneficiari, famiglie, statisti, medici, legali, giornalisti e istituzioni, da Nord a Sud, online e offline”, afferma Francesca Fedeli, Presidente della Fondazione FightTheStroke.org ETS che si occupa di giovani con una disabilità di Paralisi Cerebrale Infantile e che ha finanziato il progetto con proprie risorse e in linea con una missione universale di difesa dei diritti delle persone con disabilità.

“L’obiettivo è quello di rendere maggiormente accessibili e restituire a giornalisti, esperti, cittadini, e attivisti i dati messi a disposizione da ISTAT ed EUROSTAT, affinché si possa parlare e scrivere di disabilità in maniera più informata e consapevole.” aggiunge Matteo Moretti designer e co-fondatore di Sheldon.studio che ha curato il design e lo sviluppo del progetto, con una particolare attenzione all’accessibilità del dato a persone con ogni tipo di disabilità.

“Il lavoro di ISTAT è ammirevole, sia chiaro, e speriamo che Disabled Data serva come stimolo per ripensare insieme la filiera dei dati sulla disabilità, verso un processo di raccolta, pubblicazione, analisi e racconto più consistente e accessibile, in modo che i dati siano un bene comune.” conclude Andrea Borruso, presidente dell’Associazione OnData che si è occupata di raccogliere e razionalizzare i dati presentati sulla piattaforma.

L’interesse all’inclusione cresce nei mesi freddi. Per fortuna siamo a dicembre

Qui sotto vedete l’andamento dell’interesse (in termini di ricerca sul Web) ai temi dell’inclusione e della diversità, in Italia, nel corso degli ultimi 12 mesi.

La diversità interessa meno dell’inclusione. L’inclusione interessa solo nei mesi freddi, da giugno a settembre importa a pochi. Per fortuna siamo a dicembre!

Se ai termini di ricerca aggiungiamo “disabilità”, scopriamo che l’interesse è decisamente più alto dell’inclusione e della diversità (ma anche questo termine da giugno a settembre genere poco interesse).

Peccato che la ricerca sul Web di informazioni sulla disabilità non necessariamente significa che le persone cercano vie ed azioni di inclusività.

A giudicare dai precedenti dati [mia personale deduzione, sia chiaro!] ho l’impressione che la ricerca sia fatta da chi ha bisogno di aiuto.

NOTA IMPORTANTE: Disabled Data è pronta alla versione finale, verrà rilasciata il 3 Dicembre, Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, consentendo anche la possibilità di ricercare, condividere e contribuire alla piattaforma. Da oggi, chiunque voglia scrivere, documentarsi o parlare di disabilità, ha uno strumento in più, verso una narrazione e soprattutto una percezione della disabilità consapevole e libera da stereotipi.

NOTA ANCORA PIÙ IMPORTANTE: Non percepisco alcun compenso e non ho alcun tipo di rapporto commerciale con le aziende citate; non ho alcun interesse “scomodo” nel divulgare l’impegno di Disable Data, se non quello di contribuire a dare, nel mio piccolo, un contributo alla conoscenza. GRAZIE PER IL TEMPO DEDICATO ALLA LETTURA DI QUESTO ARTICOLO.

The visual agency: How many people with disabilities are there in Italy?

The number of people with disabilities in Italy is not known precisely. The lack of data is a problem because it is difficult to think about and fund policies for support and assistance. Guidelines are based on rough estimates from surveys. For example, inps, which handles the payment of welfare benefits in Italy, has digitized only the certifications of people with disabilities made after 2010. Because of the incompleteness of these data, Italy's statistical agency, Istat, has had to resort to sampling surveys.

People in Italy with severe limitations, which prevent them from performing usual activities, are about 5 per cent of the population. The figure comes from an Istat survey called "Aspects of Everyday Life." A sample of 20,000 households or 50,000 people were asked to answer several questions, including the following: "Due to health problems, do you have limitations that have lasted for at least six months in activities that you usually perform?". There were three response options: severe limitations, non-serious limitations, and no limits. 


The occasionality of these surveys (the last one was in 2019) and the lack of up-to-date data are obstacles to prioritizing and impacting disability policies. According to the article "Italy does not know how many people with disabilities there are" in Il Post, one of the main limitations of the data stems from the definition of disability. The United Nations Convention explains that people with disabilities are not the exclusive presence of a physical or mental deficit but concerning the social context with which they come into a relationship. Disability occurs whenever people's health conditions are related to the obstacles and barriers of the environment in which they live.


More reliable estimates would require more specific sampling and not using self-reported data based on people's responses to surveys. More accurate data would provide a better understanding of the living conditions of people with disabilities and identify the barriers that lead to these same disadvantages. This need is the focus of a campaign spearheaded by the FightTheStroke foundation, which supports the cause of young stroke survivors and those with infant cerebral palsy. The foundation launched the DisabledData project, which aims to collect and make available data on disability from various sources. The onData association, which advocates for open public data, contributed to the project, while Sheldon.studio oversaw the inclusive and accessible design of the digital platform.

How many people with disabilities are there in Italy? (thevisualagency.com)

Le domande giuste per superare gli stereotipi

Le domande giuste per superare gli stereotipi

Nei giorni scorsi un questionario proposto, e poi ritirato, dai comuni di Nettuno e di Roma per valutare la situazione di stress delle persone che assistono familiari con disabilità è stato discusso e criticato da attivisti e associazioni del settore. Le critiche sono sorte per alcune domande come "quanto risentimento provi nei confronti di tuo figlio disabile?" o "quanto ti vergogni del tuo familiare?", che sembrano ricondurre lo stress a una situazione personale interna invece che al contesto difficile, anche legato allo scarso sostegno istituzionale, in cui si ritrovano le famiglie. È vero che se non si misura un fenomeno non è possibile conoscerlo e promuovere soluzioni per far fronte a eventuali problemi, ma anche il modo in cui si raccolgono i dati è importante e può definire il tipo di risposta che la politica dà alle esigenze delle famiglie e della comunità. Come ha ben spiegato Simona Lancioni su Informare un'h, il magazine online del centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli, le domande si basavano su scale di misura del carico assistenziale create nell'ambito dell'assistenza agli anziani negli anni ottanta e su un modello medico di disabilità, che la considera un problema fisico, mentale o sensoriale del singolo individuo, superato oggi da un modello bio-psico-sociale. Quest'ultimo non considera più "la disabilità come una faccenda indivi duale e privata, ma responsabilità delle società. Al di là del caso discusso in questi giorni, è necessario colmare su tuttii livelli la lacuna di dati sulla disabilità in Italia, come denunciato da Francesca Fedeli, della fondazione FightTheStroke, nell'ambito della campagna Disabled Data. Fedeli ha avviato, insieme ad altre associazioni, una mappatura dei dati sulla disabilità in Italia, che risultano incompleti, non aggiornati e di difficile accesso. Per conoscere con esattezza il numero di disabili nel nostro paese, o scoprire come è stato calcolato il numero di 3,15 milioni di persone che si trova nelle fonti online, oggi bisogna fare "un viaggio da 85 click" tra tabelle che non si aprono e siti che risultano non più accessibili. Senza dati, "è difficile dar voce alle battaglie di rivendicazione dei diritti di una comunità ancora oggi marginalizzata o mal raccontata", si legge sul sito della campagna. In più, il tipo di dati che raccogliamo su un fenomeno o una situazione influenza il modo in cui lo raccontiamo: per superare gli stereotipi è necessario fare e farsile domande giuste.

Donata Columbro è una giornalista che si occupa di tecnologia e attivismo.